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Una troia nel convento dei frati minori - 2
di LuogoCaldo
06.01.2025 |
6.458 |
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"La mazza, per caratura e inesperienza, non ne voleva sapere di centrare lo sfintere e sulla rosetta asciutta avvertii lo spessore del prepuzio che faticava..."
“Allora ragazzo”. Disse padre Teodosio aprendo la porta di legno al secondo piano del convento. “Questa è la tua stanza”.Mi mostrò una piccola cella ombrosa: c’erano solo un letto, un crocefisso e un armadio con le ante specchiate logore e macchiate.
“È l’unica disponibile su questo piano”. Continuò. “Le altre avrebbero bisogno di essere restaurate, ma sai, non ci sono abbastanza fondi.
I monaci dormono di sotto e svolgono le attività quotidiane al pian terreno, dove ci sono la cucina, il refettorio, la cappella per le preghiere e le sale dedicate allo sport e al tempo libero. Domani ti farò visitare il cortile e l’orto.
Il terzo piano è occupato dalla biblioteca”. Disse. “Un dedalo di scaffali. Solo padre Isidoro, che ne è il custode, sa come orientarsi là dentro. Ci sono sezioni che neppure Don Gaetano ha mai visto!”
Nonostante i modi cordiali era visibilmente a disagio.
“Non le piaccio, vero, padre?” Domandai.
Lui ignorò la domanda e continuò a parlare: “Nell’armadio ci sono gli abiti da suora che dovrai indossare”. Aggiunse. “La scorsa estate abbiamo ospitato delle sorelle in pellegrinaggio e qualcosa è rimasto”.
Osservando quella stanza e ascoltando le sue parole, mi chiesi se davvero il convento fosse il posto adatto a me. I monaci mi detestavano, e non c’era niente da fare. Come avrei passato le giornate, isolato tra quelle mura spoglie, coperto dalla testa ai piedi con un sacco nero, lontano dai piaceri e dai clienti della strada?
Padre Teodosio si sedette sul letto e il cigolio del materasso mi riportò alla realtà.
Lo guardai con attenzione rinnovata: nonostante la corporatura robusta rendesse difficile stimarne l’età, i capelli dorati e il volto privo di rughe tradivano una giovinezza ancora intatta. Gli occhi, azzurri come un cielo di primavera, erano luminosi ma inquieti
“Non avrà nemmeno quarant’anni”. Pensai.
Sotto le spalle ampie il ventre era pronunciato e dava l’idea di una solida virilità.
“Dev’essere stato un bel maschio”.
Il monaco si fregava le mani sudate e se le asciugava sui pantaloni del pigiama che fasciavano cosce spesse e muscolose come tronchi.
“Avanti provatelo”. Mi disse riferendosi all’abito.
“Come?” Obiettai.
“Se non ti sta dovrò procurartene un altro”. Precisò. “Non farmi perdere tempo: ho solo voglia di ritirarmi”.
Aprii l’armadio e ne estrassi una veste.
Mi sembrò della taglia giusta e ritenni che mi sarebbe stata a pennello ma non volevo spogliarmi di fronte al monaco.
“Sta attento, Giordano”. Mi ammonii. “Se questi ti cacciano sono guai”.
Mi ricordai del perizoma striminzito che indossavo sotto al completo da scolaretta, lo stesso che i clienti spostavano prima di prendermi in macchina.
“Ho vergogna padre …”. Protestai. “Non c’è un bagno dove possa cambiarmi?”
Lui mi guardò stupito. “Vergogna di che?” Chiese. “Sei un uomo, principessa! Qui dentro non ti guarda nessuno.”
Con un groppo in gola mi abbassai la gonna e sfilai la canotta, rimanendo in reggiseno e mutandine davanti al prete.
Mi fissava contrariato e aveva uno sguardo carico di giudizio.
Avvampai e, voltandomi di scatto, mi concentrai sulla veste, cercando di abbassare la cerniera.
Attraverso lo specchio vedevo gli occhi del sacerdote fremere e rimbalzare imbarazzati dal crocefisso alla mia figura. Indugiavano sulla schiena e si posavano sul sedere alto e sodo.
“Mi dispiace, padre”. Dissi. “Non riesco,
è incastrata”.
Lui si riscosse da un pensiero lontano, si alzò dalla branda e, prima di avvicinarsi, si sistemò il pacco gonfio sotto il pigiama. Cercai di trattenere un sorriso.
“Faccio io”. Disse. Dunque prese la veste tra le mani, tese il tessuto e ordinò: “Tira adesso!”
La cerniera scivolò giù senza resistenza.
“Grazie”. Sussurrai imbarazzato.
Dunque feci per aprire le braccia e indossare l'abito, ma incontrai l'ingombro del monaco che era rimasto fermo dietro di me.
Sentivo il suo fiato sul collo.
“Dovrebbe starti bene”. Disse. “Sembra proprio della tua taglia.”
Annuii.
Il porco era eccitato.
Il suo ventre aderiva alla mia schiena e il cazzo puntava direttamemte in mezzo alle natiche.
L'esitazione del sacerdote m’incendiò il retto.
Inarcai il bacino e, tremante, percepii il suo respiro farsi più profondo.
“Domani te ne devi andare”. Disse piano. “Non puoi stare qua …”.
“La prego, padre”. Implorai. “Faccio tutto quello che desidera. Il Signore non vorrebbe che …”.
“Il Signore non vorrebbe neppure questo”. Proseguì appoggiandomi le mani sui fianchi.
“Ma lei lo vuole …” Sussurrai.
E, senza attendere risposta, feci cadere la veste, scostai il filo del perizoma e gli offrii la rosetta nuda.
“Avanti, padre”. Lo incitai. “Ne approfitti. Da quanto tempo non lo fa?”
Teodosio aveva gli occhi fuori dalle orbite.
Avvicinò le mani al culetto e prese a strizzarmi le natiche spingendo i pollici su per il buco del culo.
“Cazzo …” Sospirò e fece colare un groppo di saliva direttamente tra le chiappe per penetrarmi a fondo.
Mi voltai per contemplare l’estasi scomposta del maiale. “Ti sta scoppiando”. Dissi abbandonando il “lei” e indicando il sesso teso sotto al tessuto del pigiama.
Lui annuì spaventato.
“Liberalo”. Insistetti. “ Quanto è che non ti svuoti?”.
I suoi occhi luccicavano per l’imbarazzo. “Ecco”. Esordì. “Io … Io non l’ho mai fatto”.
Sorrisi.
Mi eccitavano gli eterosessuali!
Le mie anche si sciolsero come se fossero state di burro.
“Non lo hai mai fatto con un uomo?” Chiesi.
Lui scosse la testa. “No”. Confessò. “Io … Non l’ho proprio mai fatto. Con nessuno, intendo”.
Divenni ancora più molle.
Era vergine! Stavo perdendo la testa. Volevo davvero sentirlo dentro di me.
“Tiralo fuori”. Ordinai.
Vedendo che il monaco rimaneva immobile posai la mano sopra al suo ventre e la feci scivolare fino all’inguine, gli sbottonai la patta e ne estrassi un cazzo largo e rigido e due grossi coglioni pieni.
Teodosio trasalì e, per un istante, ci guardammo come per riconoscere che eravamo giunti a un punto di non ritorno.
Libero da ogni inibizione il maiale mi piantò la minchia tra i glutei e cominciò a spingere il glande contro al culo.
La mazza, per caratura e inesperienza, non ne voleva sapere di centrare lo sfintere e sulla rosetta asciutta avvertii lo spessore del prepuzio che faticava ad entrare.
“Ce l’hai enorme”. Mugolai stravolto e cominciai ad ansimare.
“Ti prego non urlare”. Sussurrò lui.
Aveva la voce rotta dall’eccitazione ed era terrorizzato. “Se ci beccano qua dentro è un macello”.
Ma non aveva alcuna intenzione di fermarsi. Mi posò una mano sulla bocca, strinse forte le dita attorno alle guance e, quando si fu assicurato che non potessi emettere un fiato, mi spinse di botto il cazzo dentro al culo e iniziò a pompare con tutta la foga che aveva trattenuto in quegli anni di astinenza.
Mi sentii svenire per il dolore e la vista si annebbiò fino a che, ricondotto alla realtà dai colpi violenti del mio amante, non iniziai a godermi la sua virilità.
Era duro e focoso e mi scopava così vigorosamente che l’ingombro dei coglioni mi rimbalzava tra le cosce.
Ansimando per lo sforzo, m’accarezzò i fianchi e, lentamente, risalì sulla pancia, fino a toccarmi i capezzoli e ghermire il seno sotto al reggiseno di pizzo.
“Sei veramente una troia”. Disse con un filo di voce e subito dopo aggiunse: “Scusami, non riesco a durare di più …”.
Così, mentre gli sussurravo dentro alla mano “non ti preoccupare, svuotati”, lo sentii grugnire e, tenendomi all’armadio per non perdere l’equilibrio, avvertii i fiotti di sborra che mi scaldavano le viscere.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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